04Nov

Una vita tra le macerie. Storia di Zarina


Testimonianza raccolta da una collega dell’ufficio NOVE a Kabul

Oggi dopo il terremoto ho accompagnato mio padre a cercare dei parenti in un piccolo villaggio rurale vicino al nostro. Lungo un sentiero polveroso, siamo arrivati a una casa di fango semicrollata. Le pareti, spaccate dal terremoto, lasciavano filtrare la luce in tagli irregolari; l’aria era pesante, piena di polvere.
Mentre mio padre è andato a parlare con suo cugino, io sono stata accolta in casa da una vicina, Zarina, una donna di circa trent’anni. Le sue bambine entravano e uscivano trasportando secchi d’acqua più grandi dei loro corpi magri, inciampando sulle pietre cadute dal soffitto. Si è asciugata le mani con il suo scialle, ha preso le mie con una stretta lunga, profondamente umana, come se non toccasse gentilezza da anni, e mi ha fatta accomodare su un tappeto impolverato. Ovunque frammenti di muro, stoviglie rotte, ricordi sparsi. Le ho chiesto come stessero dopo il terremoto. Con gli occhi lucidi, ha sussurrato:
“In nome di Dio, non stiamo bene. Il terremoto ha portato via tutto, perfino la nostra pace.”
Dopo poco ha iniziato a raccontarmi la sua storia.

“Sono cresciuta in una valle bellissima. Aiutavo mio padre nei campi, mia madre in casa. Sognavo di avere mani pulite, come le altre ragazze del villaggio, invece le mie erano piene di terra, tagli, fatica. Da sempre, la mia vita non è stata infanzia, è stata lotta. Avevo quattordici anni quando mio zio chiese a mio padre di darmi in sposa a suo figlio, mio cugino. Ma lui non stava bene: la mente gli era stata danneggiata da una scossa elettrica. Mio zio offrì un pezzo di terra e alcune pecore. Mio padre, soffocato dalla povertà, accettò in silenzio. Non fui data via come figlia, ma come proprietà.

 

La vita con mio marito è stata solo crudeltà. Mi colpiva con ciò che aveva sotto mano, pietre, bastoni, stoviglie. Non c’era riparo, né rispetto.
Quando nacque la mia prima figlia, venni umiliata di nuovo. ‘Le figlie sono solo dolore’, dicevano. Ora ho quattro figlie e un figlio. Mio marito, malato e violento, non può provvedere a noi. Viviamo solo grazie alla carità dei vicini.

 

Poi la sua voce è cambiata, come se una crepa le si aprisse dentro.
“Questa notte non la dimenticherò mai. Dormivamo qui, nella vecchia casa di fango dei genitori di mio marito. La terra ha iniziato a tremare. I miei bambini urlavano, mio marito gridava. Siamo corsi fuori, io stringevo la mia figlia più piccola tra le braccia. Chiamavo i nomi dei miei figli, uno per uno. Per grazia di Dio, mi rispondevano piangendo.
Alcune pareti sono crollate. Mio figlio cadendo è rimasto ferito, mio marito lo ha trascinato fuori. In cortile ci siamo aggrappati al tronco di un albero, come naufraghi a un pezzo di legno. La terra non smetteva di tremare. Sembrava volesse inghiottirci. I miei figli tremavano, le loro piccole voci mi supplicavano: ‘Mamma, salvaci.’ Mi sentivo impotente come loro.
Nella notte, le grida dei vicini che chiamavano i loro figli rompevano il buio. Anche adesso, quelle voci mi trafiggono le orecchie. All’alba, il villaggio era pieno di rovine. Mia figlia si è addormentata accanto a me, i miei bambini guardavano nel vuoto, gli occhi pieni di paura. Ora ci dovremo arrangiare in questa casa ferita, aperta al vento e alla polvere. Cercheremo di aggiustarla alla meglio, sperando nell’aiuto dei vicini.
Il terremoto di stanotte non era un sogno. Era un incubo che rimarrà inciso nel mio cuore.”

Categories: Storie

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