22Ago

La storia di Fawad: “Il basket mi ha cambiato la vita”

Fawad Samadi ha 26 anni, è nato a Kabul. Castano, occhi verdi, quasi non sembra afghano.  Sorride facilmente.

E’ stato colpito dalla poliomielite quando era piccolissimo. Cammina con i tutori e le stampelle.

E’ il sesto figlio di una famiglia numerosa, quattro fratelli e quattro sorelle. Ha avuto un’infanzia segnata dalle difficoltà.  Per la morte del padre quando aveva sei anni la madre e il fratello maggiore, allora dodicenne, dovettero accollarsi ogni responsabilità.  La disabilità, la casa situata in un posto impervio e gli sguardi dei coetanei lo costrinsero a una infanzia solitaria.  A scuola non fu meglio.

Gli insegnanti erano gentili, i compagni no.  La sua stima di sé diminuì ancora. A tredici anni ebbe la fortuna di ricevere un computer in regalo da uno zio che viveva in Iran. Gli aprì le porte su un mondo che neppure immaginava, ma lo lasciò ancora solo.  A diciassette anni venne a conoscenza del basket in carrozzina.  Esistevano dunque attività sportive per persone con disabilità!  Non ci volle molto per imparare ed esserne conquistato.

“Cosa rappresenta il basket per te?”, gli chiediamo.  “Divertimento, esercizio fisico, fare parte di una squadra, l’opportunità di trovare amici”. “Ne hai molti ora?”. Sorride allargando le braccia a indicare un gran numero.  “Ed essere stato selezionato per la squadra nazionale afghana cosa ha significato?”. “La realizzazione di un sogno che consideravo impossibile.  Il giorno in cui ci qualificammo per i campionati asiatici, credetti mi scoppiasse il cuore dalla gioia”.  “Pensi che il basket abbia cambiato il tuo modo di essere e pensare?”. “Oh sì. Ora andrei in capo al mondo a testa alta. Uso le stampelle, sì, e allora? Di quello che gli altri pensano della disabilità non mi importa più”.

“Nei prossimi giorni a Kabul si svolgerà un torneo tra le sei squadre più forti del Paese. Come pensi che la tua squadra, Kabul, si piazzerà?”.  “Partecipiamo per vincere, ci siamo preparati per mesi”. “Sembri sicuro!” Ride. “Del tutto non lo sono, ma ci proveremo assolutamente”.

Per il torneo di basket in carrozzina che si è svolto dal 26 al 28 maggio, ha chiesto dei giorni di permesso dal lavoro. Ne ha uno, grazie alle sue abilità con il computer.  Essere capace di mantenere la madre – che tanto ha fatto per lui –  e i fratelli più giovani è fonte di orgoglio.  “La mia paura maggiore era di non poter mai diventare indipendente, di restare un peso per loro”. “Ogni giorno vorrei chiederti come sono andate le partite e quali le previsioni per il giorno dopo. Accetti?”. “Volentieri, vi aspetto”.

La squadra di Kabul, quella di Fawad, ha vinto il torneo.

Storia raccolta e scritta da Alberto Cairo, Presidente di NOVE

Categories: Storie

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