Una speranza per i sogni. Storia di Mirwais

Mirwais, dodicenne, è nell’orfanotrofio di Kapisa da qualche anno. Suo padre è stato ucciso mentre combatteva contro i talebani. Un anno dopo anche la madre è morta a causa di una malattia, che Mirwais chiama “la malattia degli occhi gialli”, probabilmente una forma di epatite. Così descrive il suo stato familiare: “Mio padre è morto per la guerra, mia madre per la malattia, perciò sono senza padre e senza madre”.

Dopo la morte della madre di Mirwais, uno zio ha accolto lui, il fratello e la sorella in casa sua. Era un lavoratore a giornata e non aveva i mezzi per mantenerli tutti, dopo qualche tempo ha portato i due maschi all’orfanotrofio statale di Kapisa. Quando i talebani hanno preso il controllo dell’Afghanistan, l’orfanotrofio ha chiuso per mancanza di fondi e tutti i bambini sono stati rimandati dai loro parenti. “Tornare da mio zio è stato terribile. La cosa peggiore era il freddo durante la notte. La stanza non era riscaldata, non avevamo la stufa a legna e nemmeno coperte o vestiti pesanti da indossare. Spesso mancava anche da mangiare, certi giorni non c’era neanche un po’ di pane. Per fortuna l’orfanotrofio ha riaperto e mi hanno ripreso. Qui si mangia bene, tutti i giorni, tre volte al giorno. Le camere sono riscaldate d’inverno e c’è un posto dove ci curano quando stiamo male. C’è pure la scuola. Io non c’ero mai andato”.

Gli altri motivi per cui a Mirwais piace l’orfanotrofio sono i vestiti: “buoni, non come quelli che avevo prima”. Gli piace potersi lavare spesso,  giocare a calcio e far parte di una squadra. “È bello stare con altri ragazzi come me, mi sono fatto tanti amici qui”.

Mirwais sogna di cambiare il suo futuro, di diventare un pilota o un medico “qualcosa di importante”. Pensa che se l’orfanotrofio chiude o lo manda via i suoi sogni svaniranno. “Mio zio non può far studiare me e mio fratello, quindi non riusciremo a finire la scuola, dovremo lavorare duramente per aiutare la famiglia, se no finiremo in mezzo alla strada. Spero di restare qui il più possibile”.

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