06Mag

Divorziare per rinascere. La storia di Nasrin

Nasrin ha trent’anni e sulle spalle numerosi lutti ed episodi di abuso. Abbandonata dal primo marito per sposare un’altra donna, ha dovuto trovare il modo di sfamare – da sola – i suoi due figli: Omid, di 13 anni, e Arzoo, di 10. Nasrin si è risposata, nella speranza di trovare un po’ di felicità e sicurezza. Ma il secondo marito è diventato violento nei suoi confronti. I segni lasciati dalla sua crudeltà sono ancora evidenti nel naso rotto e nelle cicatrici indelebili che segnano il corpo di Nasrin.

Disperazione e paura l’hanno spinta a chiedere il divorzio. Un passo difficilissimo per una donna afghana, soprattutto dopo il ritorno al potere dei talebani. Dopo essersi rivolta al mullah della sua moschea ha ottenuto il divorzio, ma a due condizioni: restituire tutto ciò che aveva avuto dal marito e rinunciare ad Halima e Hajira, le figlie piccole nate dal loro matrimonio. Mentre a un uomo infatti il divorzio è generalmente permesso senza il consenso della moglie e mediante il talaq (il ripudio), la donna ha davanti a sé due sole opzioni: ottenere il consenso del marito o ricorrere alla procedura (Khul’, Khula) di ottenimento del divorzio. Nel caso di richiesta di separazione però, il patto è di restituire il mahr (il prezzo della sposa) e qualunque altra cosa abbia ricevuto dal marito.

Nasrin non ha avuto scelta. Da tre anni non vede le sue figlie, non sa nemmeno dove siano. L’obbligo di accettare quel patto le ha spezzato il cuore. Un dolore enorme, a cui si è aggiunta poi l’umiliazione. Perso il lavoro che le dava da vivere infatti, in un Afghanistan messo in ginocchio dalla crisi economica e dalle restrizioni talebane che hanno quasi azzerato le possibilità di sopravvivenza per le donne, Nasrin non è riuscita a trovare una nuova fonte di guadagno. Per raccogliere qualche soldo, appena 35 euro al mese, è stata costretta a mettere in affitto una delle due stanze della sua casa. Quei soldi garantiscono oggi almeno un pasto al giorno per lei e la sua famiglia. Nasrin vive nell’altra stanza, insieme ai suoi figli. Lì dormono, trascorrono le giornate e cucinano su un fornello da campo. Il bagno è ricavato in un buco, coperto da una tenda. La pittura dei muri è scrostata, mentre un tappeto consunto copre il pavimento di terra battuta.

Nutrire i figli, e il gattino randagio che hanno adottato, è tutto ciò che è in grado di fare. L’unica speranza che ha per i bambini è che possano andare a scuola e studiare, come ha fatto lei. Amid è in quarta elementare, Arzoo in terza. Hanno bisogno di libri e quaderni, ma lei non sa più dove trovare i soldi per comprarli. Amid è molto bravo a giocare a calcio, potrebbe entrare a far parte di una squadra. Spesso però piange e si arrabbia con la mamma perché lei non riesce a comprare la divisa o le scarpe necessari per giocare. Per questo motivo, Amid sente che il suo sogno di diventare un grande calciatore e mantenere così la famiglia sta lentamente svanendo.

Nasrin oggi è beneficiaria di Dignity, progetto grazie al quale NOVE riesce a garantire un sostegno ad hoc a famiglie – in maggioranza donne e bambini – in condizioni di povertà e vulnerabilità estreme.

Ma le privazioni imposte ai figli, suo malgrado, la mortificano profondamente. Si vergogna, spesso piange. Eppure non si arrende, continua a lottare. Quella di Nasrin è una storia come tante. Un destino crudele, comune a quello della maggior parte delle donne afghane.

Categories: Storie

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