Afghanistan. Maryam, da parlamentare a esule: sogno che le donne possano essere libere

Le giornaliste di Avvenire, tutte insieme, vogliono accendere i riflettori sulle bambine, le ragazze, le donne afghane.

Il suo sogno resta sempre lo stesso, anche se adesso è lontana: «Poter essere utile al mio Paese». Poter contribuire a far riattivare quel percorso di democrazia che in due decenni aveva portato le donne ad ogni livello in Afghanistan. «Le donne erano ministre, membri del Parlamento, giudici, personale militare e molto altro. Con l’arrivo dei taleban, dal primo giorno invece tutto è finito. Sono state azzerate lotte di 20 anni, in cui le donne hanno svolto un ruolo significativo e sacrificato».

Maryam Sadaat era la componente più giovane del Consiglio legislativo di Kabul e in seguito è diventato il consigliere per i media della Presidenza afghana. Ma nell’agosto 2021, anche lei come migliaia di altri è stata costretta a fuggire dal Paese che ama, scegliendo l’Italia come territorio «più neutrale», perché il suo essere attivista per i diritti delle donne e dei più fragili era diventato pericoloso con l’arrivo dei taleban.

Anche prima, ammette «c’erano problemi di sicurezza ma eravamo abbastanza felici, c’era libertà per le donne di andare a scuola, all’università e di lavorare. Anche la situazione economica mia e dei miei connazionali era buona, la gente era abbastanza soddisfatta della propria vita. La cosa più importante era la democrazia, noi giovani infatti stavamo sperimentando la vera democrazia».

L’Afghanistan è una società dominata dagli uomini, e anche prima dell’agosto 2021 «c’erano ancora problemi nelle aree remote, in cui le donne non ricevevano un’istruzione adeguata e non decidevano sui propri diritti – racconta ancora Maryam -. Tuttavia, nelle grandi città come Kabul la situazione stava migliorando, il tasso di istruzione e la consapevolezza stavano aumentando. Adesso tutto è cambiato, le donne non sono ammesse nelle scuole secondarie e recentemente sono state bandite anche dal lavoro nelle ong e dall’università».

Per questo Maryam, 30 anni, soffre ancora di più a stare lontano dalla sua terra. La stessa sofferenza che ha provato il giorno in cui ha deciso di scappare, perché «non avevo scelta. Ero completamente a pezzi, ho raggiunto l’aeroporto e il resto dei miei familiari è rimasto indietro. Potevo vedere migliaia di miei compaesani che stavano lasciando la loro patria e la maggior parte di loro erano donne e bambini – ricorda -. Potevi facilmente vedere la paura sul loro viso. Eravamo senza speranza e tutto era buio. Quando sono arrivata in aeroporto, per spostarsi da un gate all’altro ci sono volute 12 ore, anche se la distanza era meno di un chilometro. Quando mi sono stabilita in Italia, lentamente mi sono ripresa dal trauma e dopo qualche tempo è arrivata la mia famiglia. Certo siamo ancora rifugiati, ma siamo grati al governo italiano».

All’inizio però era da sola e incinta in un Paese straniero, non sapendo ancora di avere dentro di sé la forza per reagire. «È stato un viaggio difficile; ci è voluto parecchio tempo anche per tranquillizzarmi mentalmente. Poi immagina quanto è difficile per una donna incinta da sola. C’erano momenti in cui avevo appuntamento con l’ospedale, dovevo chiedere aiuto al progetto. A volte, quando avevo continui problemi, chiamare il progetto era imbarazzante. Tuttavia, apprezzo sempre il loro sostegno».

Il riferimento è alla onlus Nove, grazie alla quale è arrivata in Italia e si è potuta sistemare a Falconara: «Sono fantastici nell’aiutare i rifugiati facendoli sentire come se fossero a casa loro. Durante la mia gravidanza, l’ufficio Nove onlus ha organizzato per me un programma settimanale con uno psicologo, che mi ha aiutato molto, e ha organizzato un corso di italiano per me e per molti afghani in Italia».

Se per lei sogna di essere «in una posizione importante per poter aiutare il mio Paese», così come accadeva quando sedeva nell’Assemblea legislativa e teneva discorsi a livello internazionali, Maryam Sadaat per tutte le donne afghane sogna invece che «possano essere trattate alla pari degli uomini. Il desiderio più grande è quello di vedere un Afghanistan indipendente dove le donne non debbano essere coperte dal velo, possano sciogliere i capelli, indossare belle scarpe e ascoltare la loro musica nativa come un Paese normale».


Maryam è una delle beneficiarie del nostro progetto Beyond Reception

L’articolo su Avvenire